Cosa è la pensione?
La pensione è una obbligazione che consiste in una rendita vitalizia o temporanea corrisposta a una persona fisica in base a un rapporto giuridico con l’ente o la società che è obbligata a corrisponderla per la tutela del rischio di longevità o di altri rischi (invalidità, inabilità, superstiti).
Parlando di pensione se ne sentono di cotte e di crude… c’è quello che dice A, ma c’è anche quello che dice B, a seconda delle diverse interpretazioni di opportunità.


Leggo quanto sotto in una relazione della documentazione parlamentare della Camera, e
precisamente su “Giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale”.
Due sentenze della Corte Costituzionale (n.26/1980 e 349/1985) facendo leva sugli articoli 36 (Il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata
massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo
settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.) e 38 (Ogni cittadino inabile al
lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza
sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti
previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.) della Costituzione così si erano espresse a tutela del diritto del
lavoratore “diritto a una particolare protezione, nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al
pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di
pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla
quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua
famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa”, aggiungendo
che “proporzionalità e adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i
bisogni elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al
tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale
raggiunta”.
Dunque, in sintesi, veniva identificata come una «retribuzione differita».
Ma ahimè nella fame di soldi si è poi cominciato nel bilanciamento complessivo a modificare le
interpretazioni costituzionali conciliandole in un quadro delle compatibilità economiche e
finanziarie: nelle sentenze n.180/1982 e n.220/1988 la Corte affermò il principio della
discrezionalità del legislatore nella determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali tenendo
conto della disponibilità delle risorse finanziarie e le scelte del legislatore, volte a contenere la spesa
(anche con misure peggiorative a carattere retroattivo) vengono censurate dalla Corte solo laddove
la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n.73/1992, n.485/1992 e n.347/1997).
Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte con una giurisprudenza non sempre lineare
(frutto del compromesso tra la logica mutualistica e quella solidaristica), ha anche affermato che “i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in
proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla
copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi”, ma contemporaneamente
si riconosce anche che “i contributi previdenziali danno sempre vita al diritto del lavoratore di
conseguire corrispondenti prestazioni previdenziali”, non prescindendo dal principio di
proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n.173/1986; si vedano
anche, a tale proposito, le sentenze n.501/1988 e n.96/1991). In altre parole veri e propri balzelli
fiscali.
Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di
principio, che sia configurabile come un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione
normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali,
purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo
l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate
sulla normativa precedente (sentenze n.349/1985, n.173/1986, n.82271998, n.211/1997,
n.416/1999).
In altre parole, poco a poco, la Ragion di Stato di Macchiavelli va a prevalere: quello che è stato
introdotto come evento eccezionale per eventi contingenti, è quindi diventato una regola.
Dopo aver letto questa relazione della documentazione parlamentare della Camera, sono stato
assalito da un turbinio di considerazioni.
Dunque la pensione non è più una retribuzione differita, come fu affermato dalla Corte
Costituzionale: per la Corte dei Conti i contributi versati vanno in un calderone comune per erogare
a «tutti» una pensione? ecco la spiegazione della commistione di assistenza con previdenza,
ambedue doverose, ma che dovrebbero essere di identificazione distinta!!! … i trattamenti
economici delle pensioni non debbono essere strettamente correlati alle contribuzioni effettuate
durante tutta la vita lavorativa? le contribuzioni non sono finalizzate alle pensioni di vecchiaia, di
inabilità e ai superstiti (contribuzione IVS) ? … ma, attenzione, le contribuzioni previdenziali
gravano pesantemente sia in modo diretto che indiretto sulla busta paga e sul costo del lavoro per un
buon terzo della stessa!!! … sulle pensioni, poi, grava anche una pesante imposizione fiscale: tutto
il trattamento è sottoposto alla scure fiscale senza possibilità di deduzioni inerenti e correlate allo
stato di pensionato come invece era una volta ed è tutt’ora in molti Stati, inoltre le pensioni non
sono agganciate alle retribuzioni dei colleghi in attività lavorativa … la perequazione automatica
che dovrebbe garantire il potere d’acquisto nel tempo (che dovrebbe essere garantito perché versati
contributi a valore corrente), quando addirittura non soppressa o sminuzzata, incide in modo
distorto essendo applicata con indici graduati secondo scaglioni di importi e su un paniere di generi
di consumo non della vita corrente dei pensionati e, inoltre, gli indici Istat applicati non
rispecchiano la reale svalutazione monetaria corrente: ecco che i trattamenti economici di pensione
sono un debito di valuta e non più di valore per cui in pochi anni perdono pesantemente il potere di
acquisto soprattutto quando per la maggior disabilità il fabbisogno economico è superiore.
Troppo spesso provvedimenti normativi di natura economica sono andati ad incidere ulteriormente
sul quantum della pensione già soggetta alla svalutazione monetaria corrente in modo preoccupante
e certi esodi lavorativi hanno inciso sulle casse previdenziali essendo stato il sistema
previdenziale troppo spesso utilizzato come ammortizzatore sociale per risolvere problemi
occupazionali prodotti dalle ristrutturazioni delle imprese e certi oneri hanno comportato tagli sulle
spalle dei pensionati.
E che dire poi sui tagli alle pensioni di reversibilità agganciati in modo improprio ai redditi del
coniuge superstite (legge 335/1995 articolo 1 comma 41 – provvedimento Dini)? La prestazione,
ricordiamo, deriva da una contribuzione ben specifica finalizzata alla tutela dell’invalidità, della
vecchiaia e dei superstiti (IVS) e, contrariamente ai tributi o alle imposte che trovano imposizione
diversa secondo il reddito, non è istituzionalmente ancorata a una consistenza patrimoniale né si
tratta di una prestazione di una indennità o una prestazione ancorabile a tetti di reddito… e,
ricordiamo, crea palesi disparità di trattamento tra chi s’è sempre sacrificato lavorando e chi ha preferito fare la cicala. A fronte di una contribuzione da parte del lavoratore, infatti, non esiste più
una prestazione, ma un riconoscimento economico con immagine quasi di sussidio. Per fare cassa il
legislatore ha imposto restrizioni non tanto verso alcune storture (ora corrette parzialmente) come i
matrimoni di comodo, ma sulla testa del coniuge superstite: una vera e propria tassa, la «tassa sulla
vedovanza», creando però delle disparità di trattamenti a fronte della stessa capacità contributiva.
Inoltre poiché si applica sul cumulo dei beni, incide pesantemente con censura della stessa Corte dei
Conti, con l’applicazione dell’aliquota marginale: nel Rapporto sul coordinamento della finanza
pubblica 2021, la Corte dei Conti aveva chiesto infatti di ripensare il sistema di tassazione di queste
pensioni, denunciando “andamenti irregolari e distorsivi delle aliquote marginali effettive”. Ma tutto
poi tace …
E poi che dire dei blocchi della perequazione automatica che, oltre ai tagli già fatti in precedenti
periodi, dal 2012 e 2013 sistematicamente stanno incidendo pesantemente e in modo definitivo sui
trattamenti delle pensioni? e a questo proposito mi viene in mente quanto espresso dalla Corte
Costituzionale con la sentenza 316/2010 sul blocco fatto nel 2008: “ …dev’essere, tuttavia,
segnalato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la
frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni
con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità (su cui, nella materia dei
trattamenti di quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del 1985), perché le pensioni, sia
pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai
mutamenti del potere d’acquisto della moneta”. Ma, anche qui, è seguito solo un silenzio assoluto
con quanto deciso sui tagli …
In questo turbinio di pensieri ecco inoltre una considerazione: sarebbe ora di finirla di incidere coi
tagli su una categoria debole perché priva di potere contrattuale, che ha sempre pagato e continua a
pagare le tasse e si è sempre sacrificata quando era in attività lavorativa per il bene della Nazione,
categoria che si è costruita una previdenza versando i fior di contributi, a valore corrente, richiesti
dall’ordinamento vigente per un futuro dignitoso nel post lavorativo secondo il proprio rango
sociale.
E a questo proposito ricordo che la pensioni poggiavano su precisi calcoli attuariali, minati nel
tempo da provvedimenti alla ricerca disperata di soldi, bruciando la tesaurizzazione dei contributi e
passando conseguentemente al sistema a ripartizione. Ma che fine hanno fatto tutti questi nostri
soldi versati per la futura pensione? Perché essere a capri espiatori di malegestioni?
Ma, ancora, questo pateracchio quale influenza ha sui giovani che vedono calpestati dei diritti
costruiti con sacrifici contributivi durante tutta la vita lavorativa? … spesso parlando di pensioni mi
sono sentito dire dai giovani cui spiegavo che la pensione si crea da giovani per goderla da vecchi,
“con quali garanzie dobbiamo versare soldi visto come siete ora trattati? Visto come hanno
calpestato i vostri diritti, come possiamo fidarci? Godiamoci il presente e per il futuro qualche
santo provvederà”.
Scusate questi lamenti, lamenti di un pensionato che racchiude la rabbia di tanti, verso uno Stato cui
sempre onestamente ha pagato le tasse e fior di contributi per una pensione decorosa e c’è da
chiedersi anche se lo stesso non sia contento che io crepi presto per non pagare più una pensione! e
qui mi fermo, ma ci sarebbe molto, molto altro da dire …
Cosa è dunque la pensione? … risposta: una bella presa in giro? … senza dubbio un ottimo
bancomat senza massimale per i nostri Governanti.
Con la manovra 2023 il Governo Meloni, tagliando l’indicizzazione per gli assegni superiori a 4
volte il minimo, mise a bilancio risparmi per 10 miliardi nel triennio, 36 miliardi fino al 2031 (da
Corriere della Sera di domenica 1° settembre 2024 pagg. 2-3) e coll’inflazione attuale che è scesa
intorno all’1,5% (nel 2022 fu dell’8,1%) non sa come spremere soldi … a proposito cogli aumenti
di benzina e metano, andati alle stelle, quanto sono aumentati gli introiti dello Stato colle accise?…
Concludendo, ma con una conclusione molto amara, … concludendo, dunque, sono molto cambiate
e mutevoli (secondo i bisogni di Stato) le modalità applicative … giusto … sbagliato … ? lecito … illecito … ? Ma attenzione, una cosa è certa: viene anche meno, specialmente nei giovani, la fiducia
e l’affidamento nelle Istituzioni, … nei vecchi invece, per lo più, viene una rabbia furente.
Ah! dimenticavo: per non smentire già viene riportato dai giornali che anche quest’anno, pur con
entrate tributarie tra gennaio e luglio di 19 miliardi in più dell’anno scorso, il Governo Meloni col
Ministro dell’Economia e Finanze Giorgetti sta lavorando prevedendo, anche se la perequazione
sarà bassa, una applicazione per intero solo per le pensioni basse, basse per scarsi o addirittura nulli
versamenti contributivi, mentre per quelle che, avendo versato fior di contributi, sono oltre 3,4 volte
il minimo Inps, saranno previsti ancora i soliti esosi salassi, con spogliazione dei diritti
previdenziali … così dunque ahimè! sono trattati i pensionati, dimenticando il loro servizio reso in
attività di lavoro e i versamenti contributivi effettuati a valore corrente per un futuro di quiescenza
decorosa.