di Riccardo Borserini Consigliere di Giunta UNPIT

In occasione della preparazione della prossima legge finanziaria hanno trovato ampio spazio in dibattiti e convegni le tesi più disparate e sono tornati di attualità anche i temi che riguardano più direttamente le nostre pensioni.

Colpisce , devo dire una volta di più, non solo la superficialità e impreparazione di molti degli interlocutori ma anche e soprattutto la disinvoltura con cui si trascurano i dati concreti o li si utilizza in modo arbitrario.

Per  fare un esempio recentissimo, per motivare il taglio dei parlamentari se ne è quantificato il risparmio indifferentemente in 40, 50 , 100 o addirittura 110 milioni all’anno, senza che nessuno si preoccupi di verificare le cifre e comunque analizzarle nel loro contesto. In questi tempi, e non solo ora,  non c’è niente di più incerto e mutevole dei numeri su cui si fonda l’impianto della spesa pubblica. 

Si moltiplicano poi gli esempi di uno stile di governo della cosa pubblica che sta prendendo sempre più piede. Si lancia un messaggio emozionale che faccia sicura presa sul pubblico, come la lotta agli sprechi, alla casta o all’evasione, si stabilisce un nesso obbligato, più o meno logico , con la misura che si vuole fare approvare, prontamente il circuito della comunicazione di massa si impossessa del tema e lo sviluppa… e il gioco è fatto.

Le nostre pensioni sono state, e sono ugualmente vittima di queste operazioni suggestive  e questo rende sempre più difficile portare la loro difesa su un terreno di concretezza e di legittimità. 

La prima mossa di coloro che mirano a colpire gli attuali  pensionatiè quasi sempre un confronto con i giovani che hanno davanti a sé un futuro pensionistico incerto. Le difficoltà dei giovani sono un elemento obbiettivamente vero e grave, ma è assolutamente scorretto riportare la incertezza sul loro futuro pensionistico alla condizione di chi attualmente è già in pensione, dopo avere , a suo tempo, versato imposte e contributi come richiesto dalle norme vigenti al momento.

I giovani, prima di pensare alla pensione di un remoto futuro, pensione di cui è difficile immaginare oggi struttura e consistenza, hanno soprattutto bisogno di condizioni che assicurino loro una concreta possibilità di lavoro nel presente . E alla base ci deve essere un sistema formativo serio e adeguato alle necessità attuali, a partire dalla scuola, e un contesto che permetta alle imprese di svilupparsi liberamente per competere in un mercato globale e quindi essere in grado di offrire ai giovani le opportunità che meritano.

Va anche detto che gli attuali pensionati continuano a contribuire alle spese dello Stato, e quindi anche alle misure a favore dei giovani e dei disoccupati, con una imposizione pari a quella dei lavoratori dipendenti : ciò a differenza di molti altri Paesi europei, con cui siamo spesso confrontati per paragoni sfavorevoli, che invece riservano ai pensionati un trattamento fiscale di favore. 

L’Italia, al pari della Danimarca, detiene il record europeo per la tassazione delle pensioni.

A titolo di esempio, si può ricordare che mentre su una pensione di 20.000 euro lordi, in Italia la incidenza media della tassazione è del 20,5%, in Spagna è del 19,0, in UK dell’8,7, in Olanda dell’8,4, in Germania dell’8,3 e in Francia del 7,3. (fonte articolo di Nicola Quirino su sito Manageritalia) 

Colgo l’occasione per ricordare che un altro degli slogan agitati come una clava per motivare possibili inasprimenti fiscali, anche ai pensionati, è “chi ha di più deve dare di più “ . In realtà questo principio non solo è già contenuto nella nostra Costituzione, ma viene regolarmente applicato: direttamente con la graduazione delle aliquote fiscali e indirettamente con un complesso di tassazioni, deduzioni e franchigie basato sui valori dei cespiti o sul reddito degli interessati.

Con queste premesse si torna a parlare di pensioni come se ogni taglio fatto, o beneficio tolto, ai pensionati fosse automaticamente una misura di equità sociale; in sostanza, come se la pensione fosse una elargizione benefica la cui tutela è riservata solo ai meno abbienti mentre per le fasce più alte si tratterebbe di “ un iniquo privilegio “.

A ulteriore supporto di ogni misura penalizzante per le pensioni in essere si cita un gravame eccessivo e crescente dei conti dell’INPS sulla spesa pubblica,  ma si trascura di specificare che oltre il 50% della spesa INPS è rappresentata da prestazioni assistenziali e che in realtà è questo il comparto di spesa che è in forte crescita.

Ma se qualcuno volesse informarsi sommariamente di come stiano realmente le cose, potrebbe apprendere alcuni altri dati interessanti sulla progressività delle imposte, ovviamente operante per chi le paga (ma dipendenti e pensionati le pagano tutti!)

Arrotondando i decimali, bisogna sapere che di tutta l’IRPEF il 58% è pagato dal 12% dei cittadini mentre il 45 % dei contribuenti ne versa il 2,6 %. ; all’estremo opposto i contribuenti sopra i 100.000 euro di reddito sono l’1,13 % dei contribuenti totali e pagano il 19,35% di tutta l’IRPEF . E poi bisogna ricordare che anche i pensionati ( che, vale la pena di ripeterlo, vengono tassati con gli stessi criteri dei lavoratori attivi ) contribuiscono  in misura  crescente a seconda dell’ammontare della loro pensione e contribuiscono per  il 35% al gettito totale IRPEF (fonte Itinerari Previdenziali per il 2017).

Un comunicato stampa della CIDA (Confederazione Italiana Dirigenti d’Azienda) , riporta il commento del Presidente Mario Mantovani sui dati delle entrate fiscali 2017 : «Le cifre contenute nell’Osservatorio – ha precisato Mantovani – devono far riflettere: la progressività del nostro sistema fiscale è molto accentuata e crea un’evidente sperequazione fra i troppo pochi che versano al fisco e i tanti che non lo fanno affatto o solo per cifre irrisorie…”

In altre parole, invece di accanirsi sui cittadini onesti verso il fisco, bisogna fare una vera politica di contrasto all’evasione, da colpire all’origine con una seria attività di accertamento e non con sistemi indiretti e inefficaci.

In conclusione, uno studio pubblicato recentemente a cura dell’istituto Tax Fundation e basato su dati della OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), oltre che di altri istituti come la Oxford University, Bloomberg e Price Waterhouse, stabilisce una graduatoria per misurare competitività ed efficienza dei sistemi fiscali di 36 Paesi: tutti quelli europei oltre a USA, Canada, Giappone , Australia. 

Non stupisce che nella graduatoria complessiva l’Italia risulti al 34° posto, essendosi collocata più o meno in fondo alla classifica in tutte le categorie: tassazione societaria, sul reddito personale, proprietà,  consumi  oltre a qualità della rete di accordi fiscali internazionali.

Noi dobbiamo ricordare con forza e in ogni occasione che la pensione corrisponde ad un diritto, maturato negli anni di lavoro e regolato dalle leggi dello Stato. Ogni forzatura e ogni violazione di questo diritto è una grave lesione della credibilità dello Stato e del sistema di garanzie che ne tutela il rapporto con ogni soggetto, cittadino o straniero.

Né vale citare casi eclatanti, di importi stratosferici o di anzianità minime, per negare questo diritto. Ci sono stati e ci sono indubbiamente casi di abuso di questo istituto. Ma esiste un solo criterio di giudizio. Se l’assegnazione è, o è stata, frutto di una falsa attestazione o di un errore di valutazione, può e deve essere invalidata. Ma se la concessione ha rispettato la legge, si può solo contestare il criterio del legislatore e, se è il caso, variare le condizioni per i casi futuri. Un diritto legittimamente acquisito deve essere comunque riconosciuto e garantito e non essere strumentalizzato per minare il sistema di garanzie di legge.

I dati di fatto e i nessi logici sono elementi fastidiosi che i nostri governanti tendono spesso a rimuovere. Così non si commenta mai il fatto che a fronte dei veri problemi della nostra economia,  parlando unicamente degli aspetti finanziari, non si parli mai della incapacità di effettuare una vera revisione della nostra spesa pubblica, di circa 830 miliardi all’anno, per renderla più efficiente, eliminare gli sprechi clamorosi che sono sotto gli occhi di tutti e realizzare quelle misure di risparmio che qualsiasi buon padre di famiglia o serio imprenditore è capace di individuare e realizzare sistemati-camente, e non solo in periodi di crisi. Per cui ogni anno tutti i discorsi pre-finan-ziaria portano ad una unica ricetta : aumento  delle entrate.

Credo che si debba chiedere con forza e in ogni occasione il rispetto della realtà, della legalità e della coerenza: e soprattutto il rispetto dei termini che si utilizzano per non ridurre l’impegno necessario per la gestione della cosa pubblica a una ingegneria creativa delle parole.